MINDFUL EATING: MANGIARE CON CONSAPEVOLEZZA

La Mindful Eating fa parte delle pratiche di Mindfulness e consiste nella capacità di essere pienamente consapevoli dell’esperienza di mangiare in tutti i suoi aspetti. Come vedremo, infatti, l’alimentazione comprende molte componenti sia fisiche che psicologiche, ma spesso siamo abituati a non prestarvi la dovuta attenzione, perché tendiamo a mangiare di fretta, mentre pensiamo ad altro o siamo distratti dalla televisione o dallo smartphone. “Mentre mangiamo un pezzo di pane, o inzuppiamo il pane nel latte o ci aggiungiamo un po’ di cioccolata, spesso non sappiamo nemmeno cosa stiamo facendo. Lo facciamo in automatico. Questo vuol dire non saper stare nel momento presente” ha detto il monaco Thich Nhat Hanh, parlando della sua colazione.

Cos’è la Mindful Eating?

La Mindful Eating applica i principi della Mindfulness all’alimentazione, in particolare per quanto riguarda la consapevolezza delle sensazioni e la gestione delle emozioni. Il termine Mindfulness significa infatti piena consapevolezza e comprende pratiche, mutuate dalla tradizione della meditazione buddista, che insegnano a stare in contatto con il momento presente e con ciò che sperimentiamo all’interno di noi stessi, come sensazioni fisiche, pensieri ed emozioni. Allenando l’attenzione e la concentrazione, permette di osservare i nostri stati interni, e accettarli come parte dell’esperienza umana. Attraverso la pratica, questo può diventare un atteggiamento mentale applicabile a ogni ambito della nostra esistenza, compresa l’alimentazione.

Alimentazione e gestione delle emozioni

È stato stimato che più della metà della popolazione nella nostra società ha sperimentato, per un periodo della propria vita, dei comportamenti alimentari disfunzionali. Tali comportamenti sono spesso legati ad aspetti emotivi e relazionali, tanto che nel linguaggio comune si parla di fame nervosa o fame emotiva. Non si tratta di disturbi alimentari come anoressia o bulimia, diagnosticabili secondo i criteri del Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali (DSM-5), ma di difficoltà nel rapporto con il cibo.

Un esempio possono essere gli episodi di binge eating (abbuffate), che molte volte si verificano in seguito a eventi non connessi con il cibo, come litigi, delusioni, problemi sul lavoro ecc. In questi casi è chiaro che l’assunzione di cibo in misura eccessiva, o di alimenti poco salutari, rappresenti un tentativo di gestire emozioni come tristezza, rabbia e angoscia. Apprendere modalità differenti per regolare le proprie emozioni permette di ridurre la frequenza di tali episodi.

Tutti conosciamo l’esistenza dei “comfort food”, quei cibi che utilizziamo per consolarci e darci conforto. Naturalmente non c’è nulla di male se ciò avviene occasionalmente e si tratta di una decisione consapevole. Ciò che fa la differenza è la possibilità di non reagire in modo automatico, ma è essere realmente liberi di scegliere come comportarsi. Spesso infatti accade di avvertire il desiderio di alzarci e prendere qualcosa da mangiare, soprattutto fuori pasto, per poi tornare alla nostra attività senza quasi rendercene conto. La pratica della Mindfulness permette di frapporre un tempo tra impulso e reazione.

Imparare a fermarsi a osservare l’impulso e tollerarlo, ci permette di notare che ogni impulso è, per sua natura, limitato nel tempo: esso va e viene, come un’onda, e, se non si interviene, dopo alcune ondate perde forza e si riduce gradualmente fino a scomparire. La spinta all’azione raggiunge un picco di intensità, per poi calare spontaneamente se non viene assecondata. Tentare di combattere gli impulsi non fa che alimentarli, per questo la Mindfulness insegna ad accogliere con curiosità e gentilezza ogni stato interno, senza giudicarlo ma sviluppando la nostra capacità di accettazione.

Come funziona la Mindful Eating?

Il presupposto teorico alla base della Mindful Eating è che tutti possediamo la capacità di autoregolarci, anche per quanto concerne l’alimentazione. Studi scientifici hanno dimostrato che bambini di età inferiore ai 3 anni a cui viene messa a disposizione una grande quantità e varietà di cibi, sono in grado di introdurre il giusto apporto calorico e la corretta distribuzione tra i diversi macronutrienti (carboidrati, grassi, proteine ecc.).

Fin dalla nascita è presente, quindi, una capacità di autoregolazione alimentare. Tra i 3 e i 5 anni di età, però, essa inizia a poter essere ignorata e i bambini cominciano a forzare il loro comportamento alimentare, in eccesso o in difetto, a seconda dei condizionamenti sociali, in virtù di benefici percepiti superiori. Per esempio possono mangiare più del necessario per far contenti i genitori, o finire ciò che hanno nel piatto per ottenere poi il dolce, o mangiare meno del dovuto per rispettare gli standard imposti dagli allenatori sportivi o i canoni estetici dominanti nella società.

Dal punto di vista biologico, la capacità di autoregolazione alimentare dipende dall’ipotalamo, una struttura cerebrale deputata a mantenere il nostro peso corporeo all’interno del range adeguato. L’ipotalamo, in base al quantitativo di calorie introdotto e al dispendio energetico, invia al nostro corpo segnali di fame o di sazietà. È importante quindi saper prestare la giusta attenzione al nostro corpo e saper cogliere tali segnali, distinguendoli dalle sensazioni fisiche e psicologiche legate alle esperienze emotive.

Inoltre il nostro organismo funziona ancora secondo meccanismi biologici che erano funzionali alla sopravvivenza in epoche in cui vi era scarsa disponibilità di cibo. Se si riduce molto rapidamente l’apporto energetico, come nelle diete molto restrittive, l’ipotalamo si comporta come se ci trovassimo in un periodo di carestia, quindi rallenta il metabolismo, per consumare meno risorse, e aumenta lo stimolo della fame, per recuperare il peso corporeo appena possibile. Per questo motivo, è molto difficile perdere peso in poco tempo ed è difficile mantenere a lungo termine i risultati raggiunti in questo modo.

Dal punto di vista psicologico, si viene così a verificare il cosiddetto “effetto paradosso della restrizione alimentare”: diete molto rigide, basate su meccanismi del tipo “o tutto o nulla”, innescano ruminazione, cioè pensieri costanti legati al cibo, o soppressione del pensiero, vietandosi di pensare al determinati alimenti. L’eccessiva restrizione sia a livello di comportamenti che di pensieri, conduce paradossalmente a episodi di alimentazione eccessiva, seguiti da nuove ulteriori restrizioni. La Mindful Eating aiuta a prendere coscienza di tali dinamiche e riconoscere i propri comportamenti automatici legati al cibo, permettendo di interrompere questo circolo vizioso.

È importante sottolineare che l’obiettivo finale nella Mindful Eating non consiste nella riduzione o nell’aumento del peso corporeo, ma nel modificare il proprio approccio all’alimentazione, riappropriandosi di quella capacità di autoregolazione innata presente in ognuno di noi. La Mindful Eating non deve quindi essere confusa con una dieta o una rieducazione alimentare, ma può essere un valido strumento da affiancare ad un percorso con un nutrizionista.

Jan Chozen Bays, pediatra e monaca Zen, ha indicato 7 tipologie di fame, a seconda della parte del corpo da cui parte questa sensazione: fame degli occhi, del naso, della bocca, dello stomaco, delle cellule, del cuore e della mente. Ascoltare il proprio corpo ci consente di distinguerle, per questo ha scritto una guida per “riscoprire una sana e gioiosa relazione con il cibo”.

“La Mindful Eating è una via per fare conoscenza con la guida del nostro nutrizionista interiore”. Jan Chozen Bays

Obiettivi della Mindful Eating

La Mindful Eating permette quindi di:

  • aumentare la consapevolezza corporea, con pratiche come il Body Scan (scansione del corpo)
  • distinguere i segnali di fame fisiologica dalla fame emotiva
  • cogliere i segnali di sazietà
  • apprendere a mangiare in modo più consapevole, assaporando realmente i cibi
  • migliorare la gestione emotiva attraverso l’accettazione dei propri stati interni
  • sviluppare la self-compassion, o auto compassione, e l’accettazione del proprio corpo

La psicologa Jean Kristelle ha ideato un protocollo chiamato MB-EAT (Training di alimentazione consapevole basato sulla Mindfulness): un percorso di 9 settimane, con incontri a cadenza settimanale, che comprende aspetti teorici ed esercizi pratici, accompagnati da meditazioni da svolgere e casa e scrittura di un diario tra un incontro e l’altro.

Questo tipo di approccio è indicato per tutti coloro che sentono di avere delle difficoltà nel rapporto con il cibo e con il proprio corpo e nella gestione dell’alimentazione. Qualora, invece, siano presenti disturbi alimentari di rilevanza clinica, l’indicazione è di intraprendere un percorso di psicoterapia, solo al termine del quale è possibile, eventualmente, introdurre i principi dell’alimentazione consapevole.

“Oggi bevo il latte senza metterci nemmeno un po’ di zucchero, spezzo il pane, ne odoro il profumo e ne sento la fragranza, lo mordo e lo mastico dimorando nel momento presente. Sento che esso ha un sapore molto buono, non lo mastico in fretta. Ogni volta che mangio il pane così è un momento di grande felicità e non penso al futuro. La cosa importante è mangiare la mia colazione in modo da essere sereno, in modo da essere una persona libera. Vivendo veramente nel momento presente sono una persona libera, mi sento molto leggero”. Thich Nhat Hanh

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