Pace

COME PARLARE DELLA GUERRA AI BAMBINI

La guerra rappresenta un tema molto delicato da trattare, soprattutto con bambini e adolescenti. La situazione attuale, con la presenza del conflitto tra Russia e Ucraina, ha portato molti adulti, in qualità di genitori, insegnanti o educatori, a interrogarsi su come aiutare i propri bambini ad affrontarlo.

COME PARLARE DELLA GUERRA A BAMBINI E ADOLESCENTI? ALCUNI SUGGERIMENTI

  • non generalizzare
  • ricordarsi che non esistono risposte “giuste”, ciò che conta è il clima affettivo e la relazione
  • partire dalle domande dei bambini
  • rassicurare, ma saper anche stare in contatto con le emozioni più difficili
  • contenere tristezza, rabbia e paure
  • non forzare al dialogo e adeguarlo all’età e al livello di sviluppo
  • coinvolgere in attività sociali di mobilitazione
  • fornire spazi di simbolizzazione e rielaborazione

Per prima cosa, è importante ricordare che è impossibile generalizzare, in quanto ogni bambino è unico e dunque necessita di una modalità di relazione e di ascolto differente a seconda del proprio carattere. Il primo suggerimento è quello di partire dalle domande che il bambino stesso pone e provare a rispondere. È necessario quindi avere uno sguardo aperto per comprendere ciò che i bambini
chiedono e vogliono sapere, per esempio se un bambino appare nervoso o preoccupato si può provare a domandargli se c’è qualcosa di cui vorrebbe parlare.

Se non si parte da ciò che è il bambino stesso a chiedere, il rischio potrebbe essere, da un lato, di cercare, consapevolmente o meno, di evitare l’argomento, oppure, dall’altro, di forzare il bambino ad affrontarlo anche se non si sente pronto.

Nel primo caso, se gli adulti stessi sono eccessivamente angosciati da ciò che sta accadendo, potrebbero non lasciare spazio affinché emergano le preoccupazioni, le perplessità e i dubbi da parte dei bambini. Spesso, infatti, bambini e adolescenti non affrontano con gli adulti determinati argomenti perché li percepiscono in difficoltà nell’ascoltarli e nel tollerare l’angoscia. In questo caso può essere necessario lavorare sulla fragilità degli adulti, che non si sentono in grado di far fronte alle emozioni negative dei figli, come il dolore, le paure e i fallimenti.

Nel secondo caso, invece, può accadere che siano gli adulti a sentire la necessità di parlare con i bambini e i ragazzi di ciò che sta succedendo, che desiderino poter dire loro qualcosa su un avvenimento così rilevante che ci sta toccando molto da vicino. È importante però partire sempre dalle domande che ogni specifico bambino pone, che potranno essere diverse anche in base all’età, al livello di sviluppo cognitivo ed emotivo e alla fase di crescita.

Si tratta, quindi, di non temere il confronto su determinate tematiche ma nemmeno imporlo, rimanendo pronti ad accogliere ciò che emerge durante il dialogo e nell’esperienza del momento. Nella prima infanzia, nella fascia di età che precede l’ingresso alla scuola elementare, è necessario proteggere i bambini piccoli da determinati contenuti e immagini.

Quando invece i bambini iniziano a frequentare la scuola, questo diventerebbe impossibile, anche a causa dell’impatto dei mass media e della tecnologia digitale. Poiché inevitabilmente i bambini ascoltano i discorsi e percepiscono che sta accadendo qualcosa di brutto, è importante essere pronti e disponibili ad affrontare con loro la questione.

Anche la comunità scolastica stessa si è mobilitata rispetto a questo tema, che in molti casi viene trattato in classe insieme agli insegnanti. È possibile quindi parlarne in famiglia ricollegandosi a ciò che viene detto a scuola, approfondendo ciò che il confronto collettivo ha sollecitato.

I bambini non andrebbero lasciati soli davanti a immagini angoscianti, purtroppo però non è possibile metterli completamente al riparo da queste informazioni. Se un bambino, quindi, viene esposto a tali stimoli, ciò che l’adulto può fare è restare in relazione con lui e con le sue reazioni emotive e comportamentali, essere presente, contenere le angosce del figlio e farsene carico. È giusto quindi rassicurare il bambino, rimanendo però sempre aperti ad accogliere gli stati d’animo e le domande che emergono.

COSA DIRE AI BAMBINI?

Prima di tutto, è importante essere consapevoli che gli adulti non devono necessariamente conoscere tutte le risposte, e che non ci sono risposte giuste o sbagliate di fronte a queste domande. Più che i contenuti, ciò che conta nel rapporto con i bambini è l’autenticità e il clima emotivo all’interno del quale avviene il dialogo.

Gli adulti possono aiutare i bambini a sviluppare la capacità di stare in contatto con emozioni difficili come la tristezza e la preoccupazione, senza che esse si trasformino in vissuti depressivi o angosce profonde. Ciò è possibile, come abbiamo visto, se gli adulti stessi, per primi, sono in grado di farlo. È importante fornire uno spazio di simbolizzazione, cioè di parola e di linguaggio, attraverso la comunicazione o, nel caso dei bambini, anche utilizzando il disegno. Questo permette di esprimere determinati pensieri ed emozioni e di rielaborarli, invece che rimuoverli e rifugiarsi solo nell’azione.

Sul piano del comportamento, può essere d’aiuto coinvolgere i bambini in attività concrete di solidarietà, di aiuto e di sensibilizzazione, partecipando alle iniziative che la comunità, magari la scuola stessa, sta organizzando.

Nel caso dei bambini un po’ più grandi, è possibile lavorare anche sui pensieri che essi sviluppano rispetto alla situazione, per esempio chiedendo loro che cosa ne pensano, che idee si sono fatti. Ciò permette di rielaborare poi insieme tali pensieri all’interno della relazione affettiva. In questo modo il momento di crisi che stiamo attraversando può trasformarsi in un’occasione di crescita e approfondimento della relazione.

COME PARLARE AGLI ADOLESCENTI?

Soprattutto nel caso degli adolescenti, è importante un atteggiamento di ascolto delle loro riflessioni e delle loro reazioni, evitando di giudicare o di criticare le loro idee ma costruendo un dialogo il più possibile aperto. Spesso gli adolescenti tendono ad assumere posizioni estreme, molto differenti da quelle degli adulti di riferimento o dal sentire comune.

È importante però permettere loro di esprimere i propri valori, stati d’animo, conflitti, rabbie e tristezze, perché sentire che questi possono essere accolti nel mondo degli adulti li aiuta a esternare e mettere in parole i loro sentimenti. Ciò non significa essere d’accordo con le loro posizioni, ma dare spazio all’adolescente di esprimere i propri pensieri, per poi esporre i nostri.

Anche nel caso dei ragazzi, come abbiamo visto a proposito dei bambini, non è produttivo forzare il dialogo, ma essere presenti e responsivi nel momento in cui sia il ragazzo stesso ad affrontare il tema. A volte gli adolescenti non parlano con i genitori perché non trovano il clima affettivo adatto o perché non riescono ad accedere direttamente ai contenuti emotivi di tristezza o paura che questa situazione può suscitare.

È possibile che abbiano già affrontato la tematica a scuola e che abbiano trovato forme di elaborazione nella condivisione con i coetanei. Rimane comunque importante porsi in ascolto e, quando possibile, costruire insieme spazi di elaborazione dei vissuti, in modo che questa esperienza possa trasformarsi in un’occasione di crescita e sviluppo, sia per i ragazzi sia per gli adulti.

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