Paura del diverso

PAURA DEL DIVERSO: SPUNTI DAL FILM “L’UOMO SENZA VOLTO”

Paura del diverso e rapporto con la diversità: spunti dal film “L’uomo senza volto”.

Il film, ambientato in America negli della guerra del Vietnam, racconta l’intrecciarsi delle vite di due personaggi: Charles, dodicenne appena bocciato all’esame di ammissione all’accademia, con un suo mondo interno particolare che nessuno sembra comprendere, proveniente da una strana famiglia composta da sole donne, e McLeod, un ex insegnante sfigurato e solitario, che vive in una vecchia casa sul lago ed è oggetto di continui pettegolezzi.

Il volto dell’uomo, Mel Gibson, interprete e regista del film, è il vero protagonista: segnato dalle cicatrici delle ustioni nella parte destra, e intatto nella parte sinistra.

PAURA DEL DIVERSO E TEMA JUNGHIANO DELLA PERSONA

Ciò porta immediatamente in primo piano il tema junghiano della Persona, la maschera sociale che ognuno indossa per apparire di fronte alla collettività e rapportarsi con il mondo esterno. Essa pone in relazione l’Io, la coscienza, con la realtà esterna, mentre l’Anima la mette in relazione con la realtà interna, cioè con i contenuti dell’inconscio.

La Persona è quindi un complesso di funzioni che, costituitosi per ragioni di adattamento o per bisogno di comodità, non è tuttavia identico all’individualità.

Nel corso dello sviluppo la costruzione della maschera è funzionale alla vita nel mondo esterno, ma, con il raggiungimento della maturità, il rapporto con essa può evolversi in direzione dell’individuazione. Uno dei possibili rischi è che avvenga un’identificazione con la Persona, ossia che l’Io si identifichi con essa e il soggetto divenga assolutamente identico con la parte che esplica nella vita esterna. In questo caso non ha nessun rapporto cosciente con i processi interiori, che possono quindi arrivare a intralciare la funzione della maschera nella vita esteriore.

All’opposto, vi è il rischio di dissolvimento della Persona, di distruzione della maschera sociale, a causa di trasformazioni interne o esterne.

Un esempio comune può essere rappresentato dalla perdita del lavoro che un individuo ha svolto per gran parte della sua vita. Se ciò avviene in modo traumatico, la coscienza perde il suo potere direttivo e vi è un momento di rottura dell’equilibrio psichico, durante il quale possono emergere contenuti prodotti dall’inconscio. Purché la coscienza sia in grado di assimilarli, cioè di capirli e di elaborarli, ci può essere un cambiamento di senso e stabilire un nuovo equilibrio, costruendo una nuova Persona.

Il protagonista del film subisce una drammatica dissoluzione della Persona nel momento dell’incidente, al seguito del quale viene accusato e incarcerato, fino alla perdita del suo posto da professore. McLeod non riesce a reagire ricostruendosi una nuova vita e sceglie invece di isolarsi, vivendo al di fuori del paese e lontano da tutti. Egli stesso afferma di non essere più in grado di rapportarsi con le persone e di non aver voluto ricorrere alla chirurgia plastica perché quello ormai è diventato il suo nuovo aspetto, la sua nuova maschera.

PROIEZIONE E PARANOIA: DUE CHIAVI DI LETTURA DEL FILM

La sua condizione di isolamento e lontananza dagli altri determina il proliferare di dicerie e pettegolezzi sul suo conto e questo introduce un’altra fondamentale tematica psicanalitica, quella della proiezione. Essa è stata studiata in primo luogo da Freud come un meccanismo di difesa attraverso il quale si attribuisce, in maniera automatica e inconscia, un proprio atteggiamento o un proprio impulso inaccettato e misconosciuto a un’altra persona, la quale verrà percepita come ostile e pericolosa.

E’ il meccanismo alla base della paranoia. Secondo Freud, quindi, ciò che viene proiettato sono contenuti divenuti inconsci in seguito alla rimozione. Ciò equivale a quello che Jung definisce come Ombra: quelle parti che non vogliamo accettare di avere per motivi religiosi, etici, educativi, familiari… caratteristiche che, se ammettessimo di avere, manderebbero in crisi un certo coerente sistema valoriale e personale che per anni ci siamo costruiti. La proiezione, però, porta il soggetto a vedersi in modo limitato e parziale ed è quindi causa di sofferenza per la psiche, e può essere alla base di sintomi come i disturbi psicosomatici.

L’Ombra, non riconosciuta, è costretta ad avere una vita autonoma senza alcuna relazione con il resto della personalità. In una scena si vede il bambino leggere il fumetto di Batman dove compare il personaggio Due facce che, nella trama, prima era buono poi, in seguito a un incidente, rimane sfigurato su metà del volto e diventa cattivo. Egli rappresenta quindi i due opposti dentro di noi, il lato buono e quello cattivo, il bene e il male, che come due facce della stessa medaglia convivono in parte nella coscienza e in parte nell’inconscio, nell’Ombra.

Jung definisce la proiezione come il meccanismo attraverso il quale un contenuto soggettivo viene estraniato dal soggetto e incorporato nell’oggetto. A differenza di Freud, egli ritiene che possa trattarsi tanto di contenuti penosi, incompatibili, dei quali il soggetto si disfa mediante la proiezione, quanto di valori positivi, che sono inaccessibili al soggetto per un motivo qualsiasi, per esempio per sottovalutazione di sé.

PAURA DEL DIVERSO: UNA TEMATICA ATTUALE

La tematica affrontata dal film e oggi assolutamente attuale è quindi la paura del diverso, di ciò che non si conosce e spaventa poiché investito di proiezioni negative. McLeod incarna l’immagine dello sconosciuto che attiva la proiezione delle parti d’Ombra da parte degli abitanti del paese attraverso l’associazione secondo cui chi è brutto deve essere anche cattivo, e assume su di sé il ruolo di “mostro”.

La proiezione, però, può venire meno ed essere ritirata: insorge una prima consapevolezza da parte dell’Io sul contenuto psichico in movimento e inizia a incrinarsi la corrispondenza tra contenuto proiettato e oggetto su cui il contenuto è proiettato. Ciò può dipendere da un cambiamento intrapsichico del soggetto, se l’assenza del contenuto pregiudica l’adattamento, o da un fattore esterno, qualora sia l’oggetto a non poter più subire la proiezione del soggetto perché troppo deformante e invadente rispetto alla propria natura.

È possibile allora passare da uno stato di identità, divenuto avvertibile e quindi oggetto di critica, a un’identità parziale, fino al ritiro della proiezione che porta alla razionalizzazione e alla differenziazione. Attraverso questi passaggi la proiezione permette una migliore conoscenza di sé, in quanto ci si riappropria dei contenuti proiettati, e dell’altro, che può essere visto per ciò che realmente è, al di là del velo della proiezione. Essa, nelle sue forme positive e mature, può rappresentare quindi uno strumento di conoscenza e di relazione, alla base dell’empatia.

Nel momento in cui il fenomeno proiettivo avviene tra due persone, entrambe sono psicologicamente coinvolte nel fenomeno e perciò responsabili della sua risoluzione. Il lavoro sulla proiezione rappresenta quindi un problema etico, che chiama in causa ogni persona sia a livello individuale che a livello collettivo e sociale. Il professore legge a Charles “Il mercante di Venezia”, riferimento al razzismo contro gli Ebrei, esempio di proiezione su un intero popolo e di come più il materiale inconscio rimane lontano dalla coscienza più può emergere in modo sempre più potente e con conseguenze disastrose.

Uomo senza volto

L’incontro con il bambino rappresenta un momento di sincronicità: Charles cerca una figura paterna, l’uomo, che è un insegnante, cerca un allievo. McLeod lo definisce “un momento di grazia”: entrambi trovano qualcuno in grado di andare al di là dei pregiudizi e di guardarli con occhi diversi.

Grazie all’amicizia con Charles, McLeod esce dal suo isolamento e tra i due si costruisce un rapporto di fiducia, onesto e vero. Il bambino afferma di non vedere nemmeno più le sue cicatrici. Egli trova nel suo precettore una figura maschile che svolge il ruolo paterno di aiutarlo a differenziarsi dal mondo della Madre, dell’infanzia, permettendogli di compiere quello Jung definisce il cammino dell’Eroe: lo sviluppo di una coscienza dell’Io individuale, che si separa dalla simbiosi con il materno per aprirsi alla vita.

E finalmente McLeod può parlare davanti a coloro che lo accusano di aver molestato il bambino e affrontare il pregiudizio: “Se questo (il suo volto sfigurato) è tutto quello che vedete, allora non mi vedete, non mi potete vedere”.

Essi però non riescono a vedere oltre, e i due vengono allontanati. Ciò interrompe bruscamente il loro rapporto e non ci consente di vederne i possibili ulteriori sviluppi. Charles infatti ha scelto per sé la strada dell’aeronautica militare, aderendo così a un ideale collettivo del maschile, allo stereotipo americano dell’eroe di guerra, e l’incontro con McLeod avrebbe forse potuto portarlo a scoprire dentro si sé anche altre, diverse potenzialità e condurlo su un percorso maggiormente individuativo.

Il bambino però non dimentica il suo amico e nel finale, alcuni anni dopo, è convinto, tra la folla, di scorgere il suo VOLTO. Nonostante la drammaticità della trama e i numerosi aspetti di critica sociale, quindi, a mio parere il film offre un messaggio di speranza nella possibilità di un incontro trasformativo con l’altro, dentro e fuori di noi.

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